Tomaso Kemeny

Tomaso Kemeny nasce a Budapest nel 1938. 
Dal 1948 vive a Milano ed è Professore Ordinario di Lingua e Letteratura Inglese presso l’Università di Pavia. Ha pubblicato cinque libri di poesia: Il guanto del sicario (New York 1976), Qualità di Tempo (Milano 1981), Recitativi in Rosso Porpora (Udine 1989), Il Libro dell’Angelo (Milano 1991), Melody (Milano 1997), La polvere d’oro della Transilvania (1985-2000). Con il filosofo Fulvio Papi ha scritto un libro di poetica, Dialogo sulla Poesia (Pavia 1997). Per il teatro ha composto il testo drammatico La conquista della scena e del mondo (Milano 1999).
Ha ideato due rituali mitomodernisti per “l’accoglienza della Primavera”, realizzati sul Ticino (Pavia 1995) e nei Giardini Malaspina (Pavia 2001) e una “parata dionisiaca” dal titolo Omaggio alla Madre Terra (Bergamo 2000).
Tra le sue traduzioni Hero e Leandro di Ch. Marlowe (Milano 1991), Notturno (Milano 1992), volume che raccoglie poesie volte in italiano da sette lingue – ungherese, francese, greco antico, inglese, spagnolo, tedesco e latino – sul muto linguaggio della notte; Opere Scelte di Lord Byron (Milano 1993). Con Cesare Viviani ha curato La Poesia Italiana degli Anni Settanta (Beri 1979); con Giuseppe Conte e Stefano Zecchi ha curato Almanacco del Mitomodernismo 2000 (Alassio 2000). Tra le sue ulteriori curatele Linguaggi Letterari e Metalinguaggi Critici (Firenze 1984), S.T. Coleridge,La passione poetica (Milano 1986), P.B Shelley, Difesa della Poesia (Milano 1986) e La dicibilità del sublime (Udine 1989).
I suoi principali libri di anglistica sono: La poesia di Dylan Thomas (Roma 1976), Come leggere i vittoriani? (Pavia 2000) e L’arte di non morire (Udine 2000).
Le sue poesie sono state volte in inglese, tedesco, ungherese e spagnolo. Tra le numerose antologizzazioni della sua poesia si ricorda Poesia italiana del novecento, a cura di E. Krumm e T. Rossi (Milano 1995) e El fuego y las brasas, poesìa italiana contemporànea (Madrid 2000).


Tomaso Kemeny was born in Budapest in 1938. He has been living in Milan since 1948, and is Full Professor of English Language and Literature at the University of Pavia. He published five books of poetry in Italian: Il guanto del sicario (New York 1976), Qualità di Tempo (Milano 1981), Recitativi in Rosso Porpora (Udine 1989), Il Libro dell’Angelo (Milano 1991), Melody (Milano 1997), La polvere d’oro della Transilvania (1985-2000).
With the philosopher Fulvio Papi he wrote a book of poetics, Dialogo sulla Poesia. He also composed the dramatic text La conquista della scena e del mondo (Milan 1999).
He has created two mythomodernist rituals for he “welcoming of Spring”, collected in Ticino (Pavia 1995) and in Giardini Malaspina (Pavia 2001) and a “Dionysian parade” entitled Omaggio a Madre Terra (Bergamo 2000).
His translations into Italian include: Hero e Leandro by Ch. Marlowe (Milano 1991), Notturno (Milano 1992), a volume that collects poems in Italian from seven languages ​​- Hungarian, French, ancient Greek, English, Spanish, German and Latin – on the mute language of the night; Opere Scelte by Lord Byron (Milano 1993).
With Cesare Viviani he edited La Poesia Italiana degli Anni Settanta (Bari 1979); with Giuseppe Conte and Stefano Zecchi he edited Almanacco del Mitomodernismo 2000 (Alassio 2000). His further editorships inlcude Linguaggi Letterari e Metalinguaggi Critici (Firenze 1984), S.T. Coleridge, La passione poetica (Milano 1986), P.B Shelley, Difesa della Poesia (Milano 1986) and La dicibilità del sublime (Udine 1989).
His main books on English studies include: La poesia di Dylan Thomas (Roma 1976), Come leggere i vittoriani? (Pavia 2000) e L’arte di non morire (Udine 2000). His poems have been translated intp English, German, Hungarian and Spanish. Among the several anthologizations of his poetry we recall Poesia italiana del novecento, edited by E. Krumm and T. Rossi (Milan 1995) and El fuego y las brasas, contemporary Italian poetry (Madrid 2000).

POESIE

Per un soldato
Morì combattendo 
nel suo corpo
congelato 
caldo
era il piombo nemico
un commilitone
gli tolse
l’orologio
un altro
le scarpe.
Lo ricoprì la neve
la Patria
guardava
altrove.

L’erba rugiadosa intenerisce
la raffineria nello splendore aurorale.
Manichini, occhi di vetro neutro,
fantoccione dai seni di pietra
lasciano le macchine asincrone
per seguire la banda con i flicorni in estasi,
le trombe che mutano in smeraldo il sudore. 
L’istante si effonde in frenesia
ed innalza sopra le nuvole, sottraendoli
per un attimo alle strade,
i liberti gonfi di ritmo,
al fumo dei fumaioli.

Poiché mi parve disgustoso,
impazzire non era il mio
giuoco, provai un diversivo.
Per questo le sfondai la testa frangibile, rotolaro
no monete giù per le scale scle
rotiche, gocciolarono fiori
ni, cents; ricordai bimba
Lunella, con tutta la
neve delle Alpi nel suo sor
riso. La notte splendeva dietro
il sipario dei suoi capelli; gli specchi in fiamme
marcirono all’apparire dell’alba.

Suspense extensive o intensive
senza futuro
e colombe perforano le lamiere
yèyèyè
in ufficio
l’unica cucina con forno
tutta pepe piccolina
medusa al sole
davanti al palazzo ducale
prendila bel cappello
le sue pigre abitudini di vita
dissociate in modi
(veramente angelici)
armata foto
mani
che mi vollero
estraibile in mezzo
all’endecasillabo del piccolo gobbo
wie in das puppentheater
proszenium
costretto alla messa in funzione
dell’ubriachezza tradizionale
il passo è sbarrato
da verniciatori a spruzzo
livida su pelli di tigre
un cortese cenno di conferma
presero rigoglio
i suoi artigli d’oro
scarsa speculazione
per un numero di aggressività
si porta le conseguenze
di tali lesioni 

Rimango solo
Rimango solo con la
Gran Cagna del tempo,
so che non serve aspettare:
senza pesci scorre tra le braccia
l’oggi,
come lampadina bruciata
scaglio al muro il mio ieri.
Sulla riva delle autostrade
aspetto la nave dei folli.

Mi abbandono
Svuotato dalla fatica di vivere
nel vortice buio del parco,
sulla dure
a delle panchine
sottraggo alle stelle le lontananze,
le mani vuote tese
verso le dita nevose dei monti.
Mi abbandono alla notte,
mi gonfio di tutto ciò per cui vale la pena di vivere –
estraniato, moltiplicato per sette,
edenico nelle celle velate
dagli incantesimi:
il freddo si perde
col parco,
salgo con le foglie ed il vento
nell’estasi totale:
la mia libertà è nucleo
indistruttibile e luminoso
che esplode nel volo
di centomila colombe. 

Vidi nell’intimità la più magica bellezza
il mio rapimento a lungo palpitò
sotto l’embrice di brina.
Nel mondo dell’essenza pura navigai
senza brividi invaso da una potenza
meravigliosa ad ogni sorriso di luce.
Accesi la fiamma nel sogno di brevi
vite, ideale armonico di astri.
Mi strinsi al pilastro di fuoco
della Primavera sublime e ogni mia fonte
rimase suggellata nell’anelito
di calore. La vita traspariva
nella notte vellutata; rimasi
nudo nel fragile azzurro
della rugiada; la bellezza
e il profumo del canto etereo
attraverso il mio vetro bruciato.
E vidi allora il giardino del mio destino
nel concento di mille miraggi
e una bianca mano
attraverso la soglia del sogno.

Gocce di libagione
ed aculei
sull’altare insaziabile
della vita.
Desiderio
di un celeste subito,
di un oggi
dalle cedevoli maniglie;
la fiala inebriante
dell’ieri
è divenuta un deserto
riarso dal rimpianto.
Ed il domani sorride
pallido.
Vorrei mordere a lungo
le labbra
nascoste tra i germogli
dell’oggi
e svanire nella nebbia
inespugnabile, dolcemente.
urlando sodoma e sudando gomorra
pedalando in discesa per salire sulla rorida
tassando i fossili tartassando il groppo
delle nottambule 
invertendo il volo esplodendo
ultramorbidi 
senza scarpe punzecchiando le libere
trone
ianti matrone 
sorse
iando al contatto
tra le mammelle insistenti puntando i fanali
opponendosi limando lucciole con le stravaccate 
(senza rancore sul molo)
rifacendo il foruncolo sul naso della bisbetica
vomitando forcelle e travasi
cospargendo
i confini di detriti  (pullulando in soffitta) 

Tempo rubato
Nel carcere di luce
illimitato, egli è nessuno
o uno che accende la nera fiamma
a intenebrare per sempre l’imago
del cielo notturno bruciante di astri.
Ma a intervalli spodestato dalla
furia più alta delle
maree
lampo
improvviso
lo riflette sulla pietra eburnea
del trono del Clavierstümper (così
lo nomina ora il figlio solare di
Adamo Liszt) e lo consacra a struggersi
solo in luminosità consentite
dalla materia sonora. Accordi
irregolari
fusi
e subito dispersi
in fuga nella rielaborazione,
fosforescenti, rubano
il tempo all’ordine
ignoto della morte:
sregolatezza insostenibile
e cara, sorta, forse
dall’illusionismo tremendo e triste,
ritorno vero alla vita e perduta
fine.